Lo Spi di Trieste: troppi gli anziani istituzionalizzati in case di riposo

A un anno dall’avvio della campagna “Aprite quelle
porte”, lo Spi Cgil di Trieste ha fatto il punto sulla situazione delle case di
riposo in provincia. Erano presenti Giovanna Del Giudice  (Segreteria generale Spi Trieste), Lidia
Mendola (Portavoce gruppo di lavoro “Rimanere a Casa”), Celina Cesari
(Presidenza Auser, già  responsabile Welfare Spi nazionale) e Stefano Cecconi (Cgil
nazionale – Area Welfare). E’ stato ricordato come la campagna è nata a livello
nazionale  dopo alcuni scandali emersi su
violenze commesse ai danni degli anziani in una casa di cura di Sanremo:
pericoli potenzialmente concreti quando le porte invece che aperte sono chiuse,
e le strutture non sono inserite in una rete di servizi sociosanitari.
Da un anno di campagna è emerso che ancora troppi anziani
sono istituzionalizzati nella provincia di Trieste. E’ vero che Trieste è una
città  particolare: il tasso di persone anziane raggiunge quasi il 28%, circa
60mila di cui 13mila ultrasettantacinquenni. Vivono da soli 21mila anziani e
uno su cinque ha un reddito inferiore a 500 euro al mese. Eppure gli anziani in
città  rappresentano uno dei fulcri del welfare familiare. Attualmente  a Trieste sono circa 3000 i posti residenza
in 90 strutture, di cui 81 polifunzionali private. Proprio il numero di
anziani, per la maggior parte donne (sole e con redditi bassi), insieme a
un’importante istituzionalizzazione, obbliga a una politica attenta e
innovativa che consideri la provincia laboratorio di politiche a favore degli
anziani e di percorsi alternativi alle case di riposo. Il focus va centrato
soprattutto sugli autosufficienti, che occupano in regione 2000 posti letto dei
10800 totali autorizzati.
Per quanto in provincia di Trieste il numero di posti
letto non sembri aumentato negli ultimi 10 anni, anche per lo sviluppo della
rete dei servizi domiciliari e di interventi sociali (in particolare il Fap),
manca ancora un piano pubblico di riconversione della residenzialità  verso
un’implementazione della domiciliarità , e di sviluppo di sistemi alternativi al
ricorso nelle case di riposo. In particolare bisogna sempre più contrarre
l’istituzionalizzazione delle persone autosufficienti, cercando risposte diverse
ai bisogni di socializzazione, economici e di sostegno che sottendono a queste
richieste.
Rispetto invece alla residenzialità  per le persone  non autosufficienti, appare urgente un nuovo
regolamento sugli standard del personale nelle strutture residenziali
attualizzandolo rispetto ai bisogni delle persone che oggi vi entrano, ma tanto
più avviare processi di accreditamento delle strutture basati sulla centralità 
della persona, la permanenza delle autonomie e dei diritti e sul processo di
cura.
In questo contesto hanno una grande importanza gli
sportelli “Rimanere a casa”, aperti in sette leghe Spi per raccogliere
informazioni e per informare, aiutando in tutte le procedure burocratiche.