«Case di riposo, vengono al pettine i nodi della mancata riclassificazione»
«Se il processo di riclassificazione delle case di riposo si fosse chiuso entro i termini previsti, e cioè entro maggio 2018, casi incresciosi come quello della casa di riposo Gelsomino di Udine non potrebbero verificarsi. O quantomeno sarebbero molto improbabili». Il segretario generale del Sindacato pensionati Cgil Friuli Venezia Giulia Roberto Treu va oltre al caso singolo, e chiama in causa anche la Regione. «Se la struttura è stata chiusa e gli ospiti trasferiti ““ dichiara ““ è evidente che la situazione era gravemente fuori dagli standard, indipendentemente della riclassificazione. Al di là di questo, però, è evidente che vengono al pettine i ritardi di un percorso che doveva concludersi entro la passata legislatura e che ha invece pesantemente sforato i limiti. A maggio dello scorso anno, infatti, solo 31 delle 168 case di riposo monitorate dalla regione, vale a dire poco più di una su 6, erano in regola con gli standard previsti dalla classificazione, 127 avevano ottenuto un’autorizzazione in deroga e 10 risultavano addirittura in attesa di autorizzazione. Il che significa che più dell’80% delle strutture non erano in regola con i requisiti».
LE CARENZE. Ma il mancato adeguamento degli standard residenziali non è l’unico problema sottolineato dallo Spi. Bisogna fare i conti anche con la carenza di personale qualificato, sia nelle strutture pubbliche che in quelle private, dove non tutti i lavoratori sono Operatori socio sanitari (Oss), come prevede la legge, e con la corsa delle rette, che hanno continuato a crescere pure a inflazione ferma. Altra nota dolente i ritardi nel monitoraggio della Regione. L’elenco di tutte le strutture autorizzate, con i rispettivi posti letto e le rette, dovrebbe essere pubblicato annualmente, ma è una scadenza che spesso e volentieri viene ignorata. L’ultimo rapporto risale al 2018, ma con dati 2017, il penultimo addirittura al 2013. Un’inerzia della quale approfittano anche alcuni operatori privati: Sereni Orizzonti, il principale gruppo privato presente a livello regionale, a cui fa capo la residenza Gelsomino di Udine, non ha risposto al questionario della Regione, sottraendosi così volutamente a questa forma di controllo pubblico e di trasparenza.
I CONTROLLI. Ecco perché Treu, assieme al responsabile dell’area welfare della Cgil Fvg Gino Dorigo, chiede alla Giunta «l’avvio immediato di un nuovo monitoraggio e la modifica del relativo regolamento, per introdurre sanzioni nei confronti di chi, pur godendo dei vantaggi dell’accreditamento, si nega a un doveroso obbligo di trasparenza e monitoraggio». Ma non basta. Treu e Dorigo chiedono anche un aggiornamento sull’andamento della riclassificazione, visto e considerato che le autorizzazioni in deroga fissavano un termine da 1 a 3 anni per l’adeguamento agli standard, termine che per qualcuno potrebbe quindi essere già scaduto». Indispensabile, nelle more della riclassificazione, anche un’intensificazione delle ispezioni da parte delle Aziende sanitarie: «A tale proposito ““ aggiungono i due esponenti della Cgil ““ è opportuno rilevare come l’ispezione alla casa di riposo Gelsomino e i relativi provvedimenti da parte dell’Asui di Udine siano successivi al controllo dei Nas e non frutto di un’iniziativa autonoma da parte dell’azienda sanitaria».
«GLI STANDARD PRIMA DEI PROFITTI». I posti letto convenzionati nelle case di riposo del Fvg sono quasi 11mila (vedi tabella strutture), di cui 6.600 per non autosufficienti e 1.900 in polifunzionali con modulo A: «Si tratta ““ osserva Treu ““ di una buona copertura anche in una regione con elevati indici di invecchiamento come la nostra: la dotazione media è di 66 posti letto ogni 1.000 over75 residenti, il 30% in più rispetto al parametro ottimale nazionale, indicato in 50 posti ogni mille over75. Ecco perché, prima di rivendicare l’esigenza di nuove aperture per far fronte alla domanda di posti, è indispensabile portare a termine l’adeguamento degli standard residenziali e assistenziali: non è infatti accettabile che gli obiettivi di fatturato e di profitto per gli operatori privati vengano anteposti a una sacrosanta esigenza di garantire livelli adeguati di assistenza e standard di ospitalità dignitosi a tutti gli utenti. Va inoltre tenuto ben presente che la casa di riposo non è l’unica risposta e nemmeno la più efficace: assistenza domiciliare, co-housing e abitare possibile sono soluzioni sostenibili sulle quali bisogna investire maggiormente, perché più efficaci nel contrastare gli effetti dell’invecchiamento».
PUBBLICO E PRIVATO. I ritardi nella riclassificazione, sostiene lo Spi, riguardano in particolare l’area di Trieste, dove l’offerta di posti letto è la più alta della regione, con 80 posti ogni 1.000 over 75, ma si concentra in strutture private e di piccole dimensioni, prevalentemente di tipo polifunzionale (in tutto 65). Se la presenza di strutture pubbliche in regione è equivalente a quella dei privati (5.300 posti letto su 10.800), anche sotto questo profilo Trieste rappresenta un’anomalia negativa, con solo il 30% di posti letto pubblici (900 su un totale di quasi 3.000), «segno che le troppe micro polifunzionali del capoluogo sono una risposta, sbagliata, a una carenza di servizi pubblici», commenta ancora Treu, ribadendo la necessità di «un sistema trasparente e costantemente monitorato, per evitare che l’alibi dei costi a carico degli enti locali sia la premessa per una riduzione dell’offerta pubblica e per un ulteriore allargamento del già prospero mercato privato».
LE RETTE. L’esigenza di rispettare la cadenza annuale del monitoraggio regionale, per lo Spi, risponde anche all’obiettivo di tenere sotto controllo l’andamento delle rette. Rette che, in base agli ultimi dati disponibili, quelli del 2017, aumentano più velocemente dell’inflazione. Tra il 2013 e il 2017 (vedi tabella rette) i costi sono aumentati del 4% per i non autosufficienti e del 4,3% per gli altri ospiti, mentre l’inflazione cumulata, nei quattro anni considerati, è cresciuta solo dell’1,4%. E ancor meno sono aumentate le pensioni, a causa dei limiti alla rivalutazione. Analizzando più a fondo i livelli delle rette, generalmente si nota che le strutture pubbliche comunali si collocano nella fascia più bassa, mentre un po’ più alte sono quelle delle Asp (aziende pubbliche per i servizi alla persona, generalmente di proprietà dei Comuni, che hanno l’obbligo del pareggio di bilancio), mentre nella fascia più alta troviamo le private (polifunzionali escluse). Il valore medio della retta per un anziano non autosufficiente, da cui detrarre il contributo regionale di 18 euro e le eventuali quote legate all’Isee, è di 71 euro nelle case di riposo pubbliche e di 74 euro (con punte oltre i 90) in quelle private, mentre scende a 56 euro nelle polifunzionali. Anche per questo, secondo lo Spi, servono criteri più stringenti per collegare in modo più stretto l’entità del contributo regionale alle condizioni economiche e di salute degli utenti.