Porti, no alle guerre di campanile
Siamo un gruppo di portuali che hanno trascorso la propria vita lavorativa nel porto di Trieste e che, a partire dagli anni “˜80, sono andati in pensione anticipata a seguito della crisi dei traffici che caratterizzavano la portualità italiana e dei profondi cambiamenti nelle metodologie del lavoro nei porti. Abbiamo svolto, nel periodo lavorativo, una militanza attiva nel sindacato dei portuali della Cgil che, a Trieste come neglì altri più importanti porti italiani era il più forte sindacato.
La caratteristica fondante dell’essere Cgil in porto era (oltre alle battaglie interne per i diritti, la contrattazione sul lavoro, la sicurezza) un grande spirito verso la solidarietà più ampia rivolta ai grandi temi della vita sociale del Paese, solidarietà verso quelle categorie di lavoratori che vedevano messe in discussione le proprie condizioni di lavoro, i propri diritti – partecipazione attiva alle grandi manifestazione a difesa della libertà e della legalità , contro i rischi di svolte autoritarie che apparati deviati dello Stato coperti dalla destra politica e la stagione del terrorismo cercavano di realizzare nel Paese. Il grande spirito dei portuali era inoltre quello di una grande solidarietà tra tutti i porti italiani, nella consapevolezza che solo battaglie unitarie e non già scelte campanilistiche, avrebbero potuto garantire progresso e crescita democratica.
Siamo rimasti increduli quando, alcuni giorni fa, abbiamo appreso dagli organi d’informazione, dello sciopero dei portuali di Trieste le cui motivazioni, oltre alle sacrosante richieste di avere un’organizzazione del lavoro che dia certezza di occupazione e condizioni di garanzia nel suo svolgimento, metteva insieme surreali richiami a territori liberi, ad autonomismi vecchi e sepolti nell’altra metà del “˜900. Il tutto condito dall’adesione di movimenti politici indipendentisti, sigle sindacali corporative, piccole formazioni politiche di estrema destra e sinistra.
E’ indubbio che il massiccio esodo di lavoratori portuali degli anni “˜80 e “˜90 ha impedito quel naturale processo di valori e conoscenze professionali e culturali da trasmettere ai nuovi lavoratori, è indubbio che la frammentazione del ciclo lavorativo ha permesso uno strapotere ai soggetti privati a danno delle condizioni materiali del lavoro, è indubbio che gli anni del berlusconismo hanno lasciato un vuoto legislativo e normativo fondamentale per garantire stabilità e garanzie nel ciclo del lavoro; pensare che sia assolutamente prioritario per il Sindacato mettere al centro una nuova fase di contrattazione per ridefinire regole e diritti è sicuramente un punto fondamentale, pensare di risolvere questi temi con anacronistiche manifestazioni è sicuramente sbagliato e fuorviante per i lavoratori stessi, che si vedrebbero relegati, a Trieste come nelle altre città portuali italiane, a inutili comparse di un mondo che non esiste.
Appare inoltre strano che, dopo anni di gestione dell’Autorità Portuale basata sull’immobilismo politico e sul clientelismo interno, queste questioni emergano ora che, finalmente, c’è una dirigenza che sta concretamente affrontando i nodi irrisolti del lavoro nel Porto.
Molti di noi hanno mantenuto, anche dopo i prepensionamenti, un legame attivo con la Cgil e siamo ancora impegnati a sollecitare questa organizzazione ad un impegno forte per una contrattazione che sappia garantire diritti e certezze normative ai portuali, siamo e saremo disponibili a confrontarci e mobilitarci ancora vicino a coloro che lottano per questioni che sono il pane del sindacato. Non saremo certo vicini a rivendicazioni antistoriche e anacronistiche che qualche avventuriero politico locale cerca di portare avanti per scopi personali.
Lettera firmata da un gruppo di lavoratori iscritti allo Spi Cgil Trieste