Donne in pensione a 65 anni: le mistificazioni di Brunetta
Portare a 65 anni l’età per la pensione per le donne? Ci sembra che sulla questione, e sui commenti apparsi sui mezzi di informazione, esistano alcune imprecisioni e parecchia confusione. Oggi tutte le donne (dei comparti pubblici e privati) hanno la possibilità di cessare il rapporto di lavoro al 65° anno, al pari degli uomini. Ciò viene stabilito da tre norme e precisamente: legge di parità uomo / donna (legge 903/77, art. 4); legge 407/90 ed art. 1, comma 2, D.Lgs. nr. 503/92; legge 54/82, art. 6.
E’ necessario anche sapere che per la maggioranza delle dipendenti pubbliche l’età prevista dalle leggi, dai regolamenti e dai Contratti di lavoro è già oggi di 65 anni; (per esse la facoltà di andare in pensione al 60° anno di età non è un obbligo ma una possibilità in più, sancita dalla Legge 503/95, art. 1, comma 21).
Il Ministro della Funzione Pubblica, Renato Brunetta, in realtà vuole tagliare quest’ultimo beneficio rendendo obbligatorio per tutti l’età di 65 anni senza deroghe! Egli sostiene, infatti, che oggi le dipendenti verrebbero discriminate rispetto agli uomini in quanto obbligate – affermazione non vera – a cessare il lavoro a 60 anni e quindi a percepire una pensione più bassa.
Le donne lavoratrici di alcuni settori pubblici hanno la facoltà, cioè le possibilità solo se ne fanno richieste specifica, di andare in pensione al compimento del 60° anno di età, ma è una possibilità, non un obbligo come afferma il ministro Brunetta: tale possibilità è sancita dalla Legge 503/95, art. 1, comma 21. Questa è chiaramente una mistificazione poiché si vuole scambiare quello che è un beneficio da tempo previsto nella nostra normativa con una discriminazione del tutto inesistente nel nostro ordinamento. Mistificante è anche il richiamo alle ingiunzioni della Comunità Europea poiché onestamente non si capisce dove stà la discriminante rispetto gli uomini.
E’ bene infine chiarire che le eccezioni previste nel pubblico impiego rispetto l’età per il collocamento a riposo delle lavoratrici riguardano solamente alcuni settori con mansioni usuranti (Polizia di Stato, VV.F., Militari, personale viaggiante delle Ferrovie, collaboratrici sanitarie (ex infermiere), operaie, ecc.). D’altra parte è da anni che si discute, senza alcun risultato, della necessità di varare norme che agevolino il pensionamento per le mansioni usuranti.
Inoltre non va dimenticato che l’onere del lavoro di cura familiare è affidato ancor’oggi quasi esclusivamente alle donne, senza alcuna contropartita. Da tutto ciò deriva una maggiore usura delle donne lavoratrici, cui la legge ha cercato di porre rimedio con
Io credo che sulla questione sia necessario impostare il dibattito in modo chiaro e trasparente, dando a tutti la possibilità di capire che la volontà politica è quella di tagliare le spese e non quella di attribuire benefici inesistenti!
Pietro Lettig